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Finalmente sono tornata a Kalongo

Cari amici,
lo scorso giugno, dopo più di due anni a causa della pandemia, ho finalmente fatto ritorno a Kalongo. Tornare dopo tanto tempo è stata una grande emozione. 
Non ho potuto aspettare: prima tappa appena entrata in ospedale la visita dal nuovo reparto di pediatria, ampliato e completamente rinnovato grazie a chi con grande generosità ci ha aiutato a realizzare questo ambizioso progetto. Un reparto finalmente a misura di bambino. 


Il Dr Maurice Okao, medico pediatra, mi ha confermato che i nuovi spazi, ampi e più funzionali permettono allo staff di lavorare meglio, avere sempre sotto controllo la situazione dei pazienti più critici. E oggi tutto questo è più importante che mai. Ci sono 60 bambini ricoverati in pediatria, non è un numero straordinario considerando i trend passati, ma quello che è davvero eccezionale, mi ha spiegato il Dr. Okao, è che tutti quei 60 bambini sono ricoverati in gravi condizioni. Molti hanno la malaria ma sono anche gravemente malnutriti. E lo stato di malnutrizione non fa che aggravare il quadro clinico e mettere a rischio il processo di guarigione. E questo fa una grande differenza. Sessanta casi gravi richiedono grandi competenze, grande attenzione, e naturalmente moltissime risorse. 


Ci sono situazioni che non riesci a sostenere con lo sguardo e che ti fanno sentire totalmente inadeguata.
Ma anche nel posto giusto.
 Come vedere un bimbo di due anni a letto attaccato all’ossigeno e con il torace in continuo sussulto per attingere a tutta la forza che ha; dimostra pochi mesi di vita a causa di gravissimo stato di malnutrizione, la sua mamma lo veglia silenziosa. 

In chirurgia ho incontrato bambini di meno di dieci anni senza nessuno accanto, il cui unico passatempo, per chi ha la fortuna di avere un letto vicino alla finestra, è osservare il mondo fuori di lì. Mi guardavano in silenzio, sdraiati nei loro letti, con le gambe in trazione a causa delle cadute dagli alberi per raccogliere la frutta. Spesso unico pasto della giornata. Quando ho chiesto come mai fossero soli, la gentilissima infermiera che mi accompagnava mi ha risposto che le mamme erano andate a cercare lavoro nei campi per pagare le cure e per portare loro del cibo. Alcuni bambini riescono ad accedere ad un pasto solo grazie ai parenti degli altri pazienti che condividono con loro il poco che hanno. 
 

L’ospedale è molto meno affollato rispetto a quello che ricordavo, nonostante il ritorno puntuale della malaria. La pandemia Covid-19 ha lasciato il segno, le difficoltà nel riuscire a raggiungere l’ospedale con ogni mezzo, la paura e forse anche la rassegnazione, in chi vive più lontano, in chi è più povero e più solo. La popolazione locale che vive sotto la soglia di povertà è passata dal 33% al 67% in soli 2 anni. Le famiglie non possono permettersi di affrontare l’aumento dei costi causato dalla pandemia e dalla guerra, dalla crisi energetica e ambientale. I prezzi del carburante sono alle stelle. La prima cosa che ho notato percorrendo le strade in auto per raggiungere l’ospedale da Entebbe, è che sono molto più vuote che in passato. Il traffico a cui ero abituata oggi non c’è più.

L’impressionate aumento di casi gravi che l’ospedale si trova oggi a dover gestire è il risultato di tutto questo. Il diritto alla cura viene negato ai più poveri ancor prima di raggiungere una struttura ospedaliera pronta ad accoglierli.


Anche questa è una guerra e in questo scenario l’ospedale continua con determinazione a lavorare per accogliere e curare con professionalità e amore. E non solo, l’ospedale sensibilizza, forma, educa alla salute i genitori, le famiglie, le comunità intere per prevenire le principali patologie e per abbattere il tasso di ricaduta che resta sempre molto alto, sia in termini di occupazione dei posti letto che di risorse.

Per questo è fondamentale agire su diversi livelli. Riuscire a rafforzare le strutture sanitarie disperse nel territorio e formare la comunità alleggerisce l’enorme carico di lavoro che grava sull’ospedale ed è l’unica strada per migliorare lo stato di salute dell’intera comunità è garantire la sostenibilità futura di ogni azione messa in campo oggi. E questo, ancora una volta richiede tempo, energie e tante, tantissime risorse.


Tra pochi mesi a Kalongo avranno luogo le celebrazioni per la beatificazione di padre Giuseppe, un momento straordinario che conferisce a questo luogo così bello e allo stesso tempo duro, un’aura speciale che spero davvero possa gettare luce su questa comunità così forte e resiliente che negli anni passati ha saputo proteggere l’opera di padre Giuseppe e oggi se ne sta prendendo cura.


E‘ grazie al loro coraggio se oggi possiamo portare avanti l’opera di padre Giuseppe.


Guardare al prossimo con il cuore, con rispetto e interesse sincero. Agire in modo autentico, includendo chi ha davvero più bisogno, consapevoli che il nostro benessere è strettamente connesso al benessere degli altri. Favorendo un mondo più sostenibile e giusto per tutti. Questa è la sua più grande eredità. 


La vostra presenza e il vostro sostegno concreto ci donano la forza di portarla avanti.


Giovanna Ambrosoli